La parrocchiale di S. Lorenzo martire ha origini molto antiche. L’edificio che vediamo oggi venne concluso nel 1757, dopo numerosi interventi iniziati nel 1694 sulla precedente chiesa di fattura quattro-cinquecentesca.
A navata unica, ospita opere di celebre valore e raffinata fattura. Colpisce immediatamente la bellezza e l’austera eleganza del coro nel presbiterio. Scolpiti in legno di noce scuro prendono forma i sedili dei celebranti e gli stalli del coro, purtroppo di mano anonima. Partendo da destra verso sinistra, l’intera opera offre quattordici diversi soggetti: sul dossale della sede del celebrante troviamo un pannello con S. Agostino vescovo raffigurato in abiti vescovili con piviale, mitria e pastorale. Sopra la sua figura una cimasa con la scritta “Divus S. Agostinus, doctor sanctae Ecclesiae” e fa da chiusura un minuscolo artistico cielo. Il tutto porta a pensare ad un residuo di cattedra vescovile. Ai lati della scultura, infatti, si possono vedere due alette di cornici, con due sgabelli, e due corti braccioli. Sugli stalli del coro troviamo raffigurati i dodici apostoli con i loro simboli iconografici e sopra le loro teste il cartiglio, con il nome dell’apostolo raffigurato, scolpito in noce chiaro. Ogni stallo è sormontato da una cimasa barocca con il testo latino di un articolo del “Credo”. Dopo il dodicesimo apostolo, nell’ultimo pannello che termina la serie, si può vedere una rappresentazione raffigurante il tema dell’Eucaristia un altare, un calice, due candelabri un cartiglio con la scritta “Altare Dei”. Di continuazione al coro, formando quasi la sua conclusione, si possono osservare i sedili dei celebranti. Nell’insieme viene rappresentata la Trasfigurazione di Cristo, divisa in tre pannelli. Le sedute sono rette da quattro animali stiliformi, raffiguranti delle scimmie. “Nel Medioevo, la scimmia simboleggiava i bassi istinti: potrebbero ipotizzare nell’artista la finalità didattico-morale di insegnare a chi guarda la grazia del Cristo trasfigurato può vincere i bassi istinti dell’uomo”.
L’altare maggiore ha una forma leggermente convessa, che dona grazia ed eleganza al manufatto. Esso è composto di marmi pregevoli quali il diaspro, il verde antico, giallo di Spagna e marmo di Carrara. In posizione simmetrica rispetto al tabernacolo sono incastonati due lapislazzuli, sparsi di venature color oro. Sopra il tabernacolo, invece, è posta una tribuna di marmi policromi, sorretta da colonnine composite. In cima ad essa una cupoletta dove è posto il Padre Eterno, in marmo bianco.
Lasciando l’altar maggiore e dirigendosi nell’unica navata, si possono ammirare i cinque altari laterali. Nella prima cappella di destra l’altare di S. Antonio da Padova. A prima vista la cosa che attrae di più è l’ancona scolpita da Andrea Fantoni nel 1701. Sopra alla nicchia della statua del santo, di mano ignota, sono raffigurati rami di giglio (simbolo iconografico del santo di origine spagnola) policromi. Lo sfondo è dorato, in rilievo ed in stile barocco, e fa da cornice alla nicchia. Il fondale è azzurro cielo con ornamenti floreali dorati. Sant’Antonio è rappresentato con un saio riccamente adornato, reca il Gesù bambino in piedi appoggiato al braccio destro e nella mano sinistra porta un giglio dorato. Lo sfondo della nicchia è bianco, con alcune stelle dorate. Di fronte ad esso, ovvero nella prima cappella di sinistra, troviamo l’altare della Madonna del Rosario. Insieme a quello di Sant’Antonio è il più antico della chiesa, infatti fu inaugurato nel 1605. Ospita la bellissima tela di Gian Paolo Cavagna raffigurante la Madonna del Rosario, i Misteri, i santi Domenico e Lorenzo ed il committente, un Albrici di Angolo. Sotto il quadro vi è uno scomparto rettangolare dove sono custoditi tre reliquiari in lamina argentata. Nella seconda cappella di sinistra troviamo l’altare del Crocifisso. Di scuola fantoniana è ricordato nella Visita Pastorale del Card. Querini del 12 settembre 1736 “Altare del S. Crocifisso, con le statue di san Pietro d’Alcàntara a destra e san Sebastiano a sinistra.”. A destra e a sinistra dell’altare si possono ammirare le statue di S. Stefano (da molti erroneamente interpretato come S. Lorenzo) e di S. Carlo Borromeo. Anch’esse di mano fantoniana vennero qui collocate forse in sostituzione delle due statue di cui parla il Cardinal Quirini, andate incontro a chissà quale sorte. S. Stefano è rappresentato in abiti diaconali con dalmatica e manipolo rossi, nella mano destra porta una palma. S. Carlo Borromeo non è ritratto in abiti vescovili, reca solo nella mano destra il pastorale, ha indosso la talare rossa, una cotta e la mozzetta. La mano destra è benedicente (le tre dita che simboleggiano la Trinità sono alzate in segno di benedizione). Merita particolare attenzione il paliotto dell’altare, dove al centro splende la scultura del Cristo Morto, opera eccezionale per la finezza dei particolari. Spostandoci nella seconda cappella di destra possiamo ammirare l’austero altare della Madonna Addolorata. Tutto in marmo, salvo la porticina del tabernacolo, è uno splendore di arte finissima. Sopra la nicchia che ospita la statua dell’Addolorata, anteriore ai Fantoni, vi è la scritta “Mater Pietatis”. Attorno ad essa, quasi come custodi, due statute in marmo bianco raffiguranti san Girolamo e san Bernardo.
Altre opere sono: l’organo Bossi-Manzoni, la pala dell’altare maggiore raffigurante il martirio di San Lorenzo di Angelo Paglia, il grandioso quadro di Marziale Carpinoni difronte l’organo e la bussola realizzata da Felice Bettoni.
All’esterno il portale d’ingresso, scolpito in legno di noce, è racchiuso in un portale di marmo datato 1757. E’ diviso in quindici formelle rappresentanti la vita e la morte (per l’esattezza, dall’Annunciazione sino alla Resurrezione) di Gesù. La storia ha inizio nella parte bassa sinistra e girando attorno alla porta barocca si conclude nella parte bassa destra. Non si conosce il nome dell’autore che eseguì questo lavoro, ma molti pensano possa trattarsi di un manufatto della bottega dei Fantoni.
se sei interessato, clicca qui: Scheda di recensione dell’organo Bossi
Fonti bibliografiche
- Vera Zappia Scordo, “Angolo: Protagonisti Fatti Testimonianze” 1985
- Araldo Bertolini e Gaetano Panazza, “Arte in Val Camonica” 1983